domenica 13 novembre 2016

Rajoy è eletto presidente grazie agli errori della sinistra spagnola



Se la sinistra spagnola fosse un personaggio di Gabriel Garcia Márquez ci divertiremmo a seguire le sue idealistiche congetture, sempre slegate dal pragmatismo e dal senso comune, appassionato e ribelle malgrado la sua evidente necessità di assicurarsi un avvenire. Il problema, per il suddetto “sinistra”, è che non a tutti piacciono i personaggi esaltanti ma un po’ arruffoni, e soprattutto che quasi nessuno vota secondo criteri letterari, bensì politici: 1.5000.000 cittadini spagnoli hanno dimostrato di esserne già stufi a metà della vicenda che stiamo per raccontare, un brutto segnale.

Ogni volta che la vittoria del fronte progressista non è netta e si richiede qualche tipo di accordo tra i diversi fronti, il finale sembra essere già scritto, proprio come se si trattasse di una morte annunciata: l’ombra di un solido esecutivo che sbrighi gli affari correnti, senza introdurre sostanziali miglioramenti per salariati e partite IVA senza cospicui conti in banca, si palesa come un’inevitabile punizione per i tentennamenti di chi avrebbe dovuto e potuto costruire un’alleanza con prospettiva storica. È esattamente quanto accaduto nell’ultimo anno di vita politica qui in Spagna, ripercorriamone le tappe principali:

20 dicembre 2015

Partito Socialista e Podemos sommano all’indomani delle elezioni 159 seggi, ne servono 176 per governare. Le possibilità di procurarsi quelli che mancano sono due: allearsi con il liberal-democratici di Ciudadanos (40 deputati), oppure con i vari partiti nazionalisti: Partito Nazionalista Basco (6), Sinistra Repubblicana della Catalogna (9), Convergencia e altri (8), oltre ai 2 deputati che apporterebbe la formazione neo-comunista di Sinistra Unita. Il Partito Popolare ha ottenuto il peggior risultato della sua storia, con una perdita di circa cinquanta seggi rispetto al 2012, dopo quattro anni di austerità che hanno colpito soprattutto le classi medie e subalterne, ma anche con una timida creazione di posti di lavoro (temporaneo).

22 gennaio 2016

Mariano Rajoy, leader del PP, rifiuta l’incarico di formare un governo propostogli dal Re in virtù del maggior numero di voti ottenuti. È il via libera al tentativo di Pedro Sánchez, che non ha nulla da perdere e potrebbe arrivare a 201 seggi, una maggioranza più che sufficiente a guardare al futuro senza troppi grattacapi.
30 gennaio 2016

Il Partito Socialista celebra una riunione di direzione in cui più di un segretario territoriale si oppone ad allearsi con Podemos, una strada che porterebbe inevitabilmente a ciò che invece vogliono evitare: il referendum sull’indipendenza della Catalogna (regione nella quale Podemos raccoglie moltissimi voti). Il referendum, con valore vincolante, secondo il modello scozzese, è ventilato dagl’indipendendisti da circa due anni dopo la bocciatura del nuovo Statuto, proposto da José Luis Zapatero. Le forti spinte autonomiste sono sfociate in un embrione di scissione unilaterale e in un duro conflitto con il Tribunale Supremo (la nostra Corte Costituzionale), e inducono alla prudenza Pedro Sánchez, che stringe un accordo con Ciudadanos e chiede a Podemos di sommarsi, sia tramite voto favorevole, sia per mezzo di una semplice astensione.

17 aprile 2016

Podemos rende noti i risultati del referendum interno con il quale ha sottoposto alla propria base l’eventuale accordo con PSOE e Ciudadanos: l’88,7% dei militanti rifiuta l’alleanza moderata e si dichiara favorevole, invece, a un patto con PSOE e indipendentisti per raggiungere il quorum. La direzione del partito ha utilizzato il referendum come un suffragio pubblico a scelte già compiute al suo interno e continua a parlare con sospetta leggerezza della possibilità di un accordo tutto a sinistra, ignorando il fatto che la direzione del PSOE si è già espressa contro una tale prospettiva.

2 maggio 2016

Pedro Sánchez si presenta alle camere per ottenere la fiducia sulla base del patto firmato con Ciudadanos. L’astensione di Podemos e Sinistra Unita (71) assicurerebbe la nascita del governo progressista; Podemos e Sinistra Unita, però, votano compattamente contro, sfidando Pedro Sánchez a cambiare rotta ed esplorare la possibilità di un’alleanza di tutte le forze contrarie al Partito Popolare. A questo punto la Costituzione concede altri due mesi di tempo per ulteriori trattative, prima di fissare l’obbligatoria emanazione del decreto con il quale verranno indette le nuove elezioni generali per il 26 giugno del 2016 (come in effetti avverrà). La Costituzione spagnola è molto precisa in questo senso, e le date sono pressoché obbligate: il Re Filippo VI vi si attiene scrupolosamente.

7 maggio 2016

Iniziano in extremis le trattative tra PSOE, Podemos e Ciudadanos per un patto a tre.

8 maggio 2016

Le trattative sono già finite. L’accordo non si trova: si va a nuove elezioni generali, come tutti i segnali lasciavano presagire.

9 maggio 2016

Pablo Iglesias, leader di Podemos, e Alberto Garzón, portavoce di Sinistra Unita, firmano un’alleanza per le elezioni del 26 giugno. È la fine della trasversalità di Podemos, che fino a quel momento ha conosciuto una crescita continua anche grazie alla sua capacità di attrarre voti da entrambi i bacini elettorali, sfruttando la campagna contro la casta e la corruzione. L’alleanza con Izquierda Unida è difesa da Pablo Iglesias in vista del probabile calo di voti in seguito al mancato accordo con il PSOE, ma osteggiata da Iñigo Errejon, l’ideologo di Podemos, che teme di essere etichettato come neo-comunista e perdere forza di attrazione al centro e perfino a destra. Il progetto è dichiarato: superare il PSOE in voti e seggi (un’operazione che in Spagna battezzano con il nome di Sorpasso, alla Dino Risi) e imporre un accordo ai socialisti senza la partecipazione di Ciudadanos.

26 giugno, ore 22:30

Cominciano ad affluire i risultati dello scrutinio, ed è sempre più chiaro che Podemos e Partito Socialista restano al palo, quando non perdono terreno. Si aspettano con trepidazione i risultati di Madrid e Barcellona, dove Podemos (con sigle diverse) amministra da oltre un anno, e dove ha la sua principale riserva di simpatizzanti; ma si constata che anche lì l’alleanza a sinistra non ha funzionato. Il Partito Popolare, guidato da Mariano Rajoy (l’unico politico con esperienza di governo alle spalle tra i quattro candidati) vince a mani basse, guadagnando addirittura 14 seggi rispetto alle precedenti elezioni.

Calle Genova, Madrid
Calle Génova nº13, Madrid, sede del Partito Popolare

27 giugno, ore 00.30

Fuori dalla sede del PP, in calle Genova, sede più volte perquisita dalla polizia in cerca di prove sui gravissimi casi di corruzione che hanno investito il partito negli ultimi anni, campeggia un grande cartello con la scritta GRACIAS. Osservandolo viene fatto di chiedersi a chi sia rivolto, quel GRACIAS, se agli elettori che acclamano il loro leader entusiasti, o alla sinistra spagnola, che aveva tutte le carte in regola per superare il Partito Popolare e che invece ha continuato a giocare al rialzo, per ottenere infine 1.500.000 voti in meno rispetto a dicembre. Iglesias appare affranto, mentre Sanchez si rallegra additittura di aver mantenuto il primo posto all’interno dello schieramento progressista, di opposizione.

28 luglio 2016

Mariano Rajoy stavolta accetta l’incarico propostogli dal Re e inizia le trattative con Ciudadanos. In seno al PSOE si sviluppa un profondo dibattito che sintetizza alla perfezione il bivio difronte al quale si trova la socialdemocrazia in Spagna, un bivio non dissimile da quello che gli sta davanti in Italia. Dialogare con le forme scorrette del populismo di Podemos (purtroppo anche la sostanza è talvolta scorretta), oppure rifugiarsi in un’intesa con le forze che condividono sì la sua storia, ma dal fronte opposto. Pedro Sánchez cerca di prendere tempo: assicura ai maggiorenti che non farà mancare i voti necessari all’elezione di Rajoy, ma al contempo stimola l’intransigenza dei militanti coniando lo slogan NO es NO: tautologia che ricorda un’altra frase lapidaria di questa lunga estate: Brexit means Brexit, di Theresa May, con buona pace della nostra capacità di elaborare significati complessi.

4 agosto 2016

Mariano Rajoy si presenta in aula forte di un accordo con Ciudadanos che gli assicura 165 voti, a soli 11 dalla maggioranza assoluta. Si attende l’astensione di Pedro Sánchez, che invece non arriva, e a quel punto il lacerato PSOE si rompe. La potente governatrice dell’Andalusia, Susana Díaz, si somma agli ex presidenti Felipe González e José Luís Zapatero nel chiedere una soluzione a un’impasse che dura ormai da otto mesi. Pedro Sánchez resiste sul NO es NO e, anzi, chiama i militanti a riprendersi il partito contro gli ordini di palazzo. La prospettiva non è chiara, ma la strategia sì: vuole affossare Rajoy, promuovere nuove primarie, vincerle sull’onda del NO e allearsi con Podemos ricompattando il fronte progressista. Le posizioni sarebbero inedite: è noto che Pablo Iglesias critica le fondamenta stesse dell’attuale sistema costituzionale, che poggia sulla riconciliazione del 1978 che pose fine alla dittatura.

28 settembre 2016

Sono le ore più drammatiche del Partito Socialista, che ricordano l’ammutinamento dei 101 deputati del PD in occasione dell’elezione di Romano Prodi alla Presidenza della Repubblica: 17 membri della direzione nazionale consegnano le dimissioni in contrasto con la decisione di Pedro Sánchez. Il segretario resiste in due concitate riunioni interne nelle quali volano gli stracci, ma è costretto a dimettersi la sera stessa: il PSOE è affidato a un comitato di garanzia presieduto da Javier Fernández, Governatore del Principato delle Asturie, che ha l’incarico di traghettarlo verso l’astensione e il nuovo congresso, che si celebrerà entro l’anno. I sondaggi danno il PSOE al 18,5%, la percentuale più bassa della sua storia.

4 novembre 2016

Mariano Rajoy è eletto presidente grazie al sostegno di Ciudadanos e all’affranta astensione del PSOE: il governo è praticamente identico a quello con cui si amministrò la vittoria del 2011. Podemos indice insieme a Sinistra Unita una manifestazione di piazza e sbandiera la spaccatura tra le diverse forze di opposizione come una vittoria. Si accusano i socialisti di “tradimento”, usando una terminologia che speravamo superata, ma si dimentica che quando avrebbero potuto appoggiarli non l’hanno fatto per cinismo o spavalderia, probabilmente entrambe le cose.

Se la sinistra fosse un personaggio di Gabriel Garcia Márquez, dicevamo, avrebbe dimostrato ancora una volta le ossessioni che lo attanagliano in un intreccio fatto di litigi, proclami e sotterfugi. Perseguire la giustizia sociale, questo sacramento novecentesco per il quale si è nati e si è risorti, lo ha di nuovo abbagliato con la sua luce gnostica, e ha finito per impedirgli di difendere gl’interessi di chi aveva bisogno di una più pragmatica redistribuzione della ricchezza (generata, in uno dei paesi più ricchi del mondo, da uno sviluppatissimo settore terziario).

Questo strano personaggio che ci appassiona da oltre 100 anni sembra non voler accettare successi parziali o soluzioni intermedie: vuole purezza, come un prete. Non sembra aver capito, ancora, la sinistra (e non solo spagnola) che il suo compito non è portare nelle aule parlamentari un fuoco sacro, bensì gli strumenti affinché l’umile fiaccola dei deboli non si spenga. Dalla comprensione di questa lezione elementare, l’ennesima che si può trarre da tutta la sua vicenda, dipenderanno l’avvenire di milioni di persone e la chiusa del romanzo storico di cui è l’imprevedibile e assoluto protagonista.

lunedì 21 marzo 2016

Baciami, signor Presidente!



Ascoltare Pablo Iglesias di Podemos offrire un bacio a Pedro Sánchez, segretario del Partito Socialista spagnolo e incaricato dal re Filippo VI di formare il primo governo di coalizione della breve storia della democrazia di questo paese, si ha l’impressione di assistere, più che a una proposta programmatica, alla nascita di un’avanguardia politica. Diceva Marcuse che un’avanguardia ha il dovere di comunicare la disfatta delle forme di comunicazione esistenti, e la faccia di Pedro Sánchez, erede di una tradizione operaia che nasce dalla filosofia classica tedesca, cioè dall’illuminismo europeo fino a Hegel, diventa tutto a un tratto quella di un matusa, malgrado abbia appena quarantadue anni.

L’irruzione di Podemos in Parlamento, i rasta di alcuni suoi deputati, la tenuta senza giacca di Pablo Iglesias (la cravatta non rientra nel novero degli accessori possibili) e i continui ammiccamenti con il suo numero due, Iñigo Errejon, più adatti a una festa tra amici che a un voto di fiducia, hanno illustrato in questi giorni il vero obiettivo dei nuovissimi della politica spagnola: precipitare nel passato i difensori dell’attuale ordine costituzionale, nato dopo la morte del dittatore Francisco Franco per mano di Juan Carlos di Borbone. Quell’ordine prevedeva un ruolo di prima grandezza per il Partito Socialista, che sarebbe andato al governo pochi anni più tardi con Felipe González, e per il Partito Comunista, guidato da Santiago Carrillo e legalizzato ad hoc. L’avanguardia podemista, ispirata da un’ideologia totalizzante della politica, come tutte le avanguardie lo sono della disciplina in cui s’inscrivono, vuol spazzare via governanti e oppositori di quella fase che dura da trentotto anni in nome della proclamazione della Terza Repubblica. Il referendum sulla forma costituzionale da dare al paese, come quello che sancì l’esilio dei Savoia nel 1946, sarebbe il primo passo da dare senza fretta, ma meglio prima che dopo.

Podemos sa cosa c’è stato prima, e non ne vuole più sapere. Mette il veto su qualsiasi contatto con il Partido Popular, espressione del vecchiume, ma anche con Ciudadanos, che di quel vecchiume credono voglia essere un incipriamento. Accettano di dialogare soltanto con il Partito Socialista, perché c’è sempre un corrotto sistemico meno corrotto e meno sistemico degli altri, ma lo fanno per interesse: senza i voti socialisti hanno soltanto sessantanove deputati. Eppure, come in tutte le avanguardie, il discorso teorico fila più di quello pratico, e anche con i voti dei matusa, dovrebbero accordarsi con Izquierda Unida, nazionalisti catalani, nazionalisti baschi, nazionalisti valenciani e nazionalisti galiziani, un guazzabuglio che darebbe solo tre deputati di maggioranza; il PSOE, in queste condizioni, preferisce l’appoggio di Ciudadanos e rincipriare lo status quo. È diverso da Madrid, Valencia e Barcellona, dove Podemos amministra con l’appoggio di quei vegliardi, lì comandano loro e la musica è sempre alta.

Podemos ha reciso la vicenda epica della lotta di classe spagnola; non ne accetta più l’inizio nel Manifesto di Marx ed Engels, o, meglio, accetta quell’inizio ma mette in discussione lo svolgimento, almeno a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, che videro l’avvicinamento dei partiti di sinistra al governo in tutti i paesi occidentali. Vorrebbe sancire un nuovo inizio della lotta di classe, anche se non la chiamerebbe così: una riscossa del basso contro l’alto riossigenatasi in Venezuela dopo le tristi balere dove risuonano le canzoni popolari degli sconfitti della Guerra Civile del 1936. Vorrebbe chiudere la parentesi della sinistra di potere e ricostruirne un’altra, nuova; ma come sarebbe questa nuova sinistra? È una sinistra talmente nuova da non poter nemmeno accordarsi con la vecchia? Attenzione, sappiamo bene che all’inizio del Manifesto, la narrazione epica sostiene che la borghesia conquista il potere, organizza il modo di produzione capitalistico, si costruisce una sua economia, dà vita a un mondo retto da leggi e valori nuovi, ma intanto genera e si alleva al suo interno il nemico, quello che lo sconfiggerà ereditandone il patrimonio di valori. Il cuore della lotta tra i vecchio e nuovo, anche in Italia, è sempre stato stabilire chi sia quel nemico vezzeggiato dal potere stesso, affinché non cambi niente di sostanziale: per ora è rimasto un mistero.

Per l’avanguardista Pablo Iglesias il dibattito parlamentare non è che un segno di punteggiatura decadente da ringiovanire, quindi propone un bacio come si farebbe con un happening, comunicazione diretta che salta il politichese: Perché fai tanto il difficile, signor presidente del consiglio incaricato dal re? Pedro Sánchez, impietrito, pensa alle care formalità di un tempo, Cari colleghi, Eccellenze, Sacri rappresentanti del popolo, quelle formalità che il fondatore del suo partito, che guarda caso si chiamava, anche lui, Pablo Iglesias, amava e usava con un certo profitto. Il capo di Podemos gli sembra una sua mimesi crudele, irrispettosa, quasi incomprensibile.

venerdì 4 marzo 2016

La Spagna senza governo



Oggi pomeriggio si terrà a Madrid il secondo dibattito parlamentare per il voto di fiducia al nuovo Governo. Pedro Sánchez, segretario del PSOE, propone un patto con Albert Rivera (Ciudadanos) al quale dovrebbe sommarsi, anche mediante astensione, uno tra Partito Popolare e/o Podemos. Tutto fa pensare che i numeri non ci saranno neppure oggi, e che il Re Filippo VI dovrà convocare un terzo giro di consultazioni. Nel primo dibattito sulla fiducia, avvenuto martedì 2 febbraio, sono risultate decisive due questioni che riguardano la vera e propria lotta generazionale in corso sia a destra che a sinistra. 

Il liberale Albert Rivera ha lanciato il guanto di sfida al Primo Ministro in carica, Mariano Rajoy, affinché si dimetta e dia il via libera a una rinnovazione del Partito Popolare, assediato dagli scandali di corruzione. Il prezzo d'immagine che Rivera sarebbe costretto a pagare alleandosi con il principale partito di potere, il Pp, lo vuole recuperare in anticipo, offrendosi all'elettorato come il fautore del rinnovamento della classe dirigente (più che delle politiche in sé). A sinistra invece la lotta è senza quartiere, e non riguarda solo i quadri dei due partiti in questione, Partito Socialista Obrero Español e Podemos, bensì la guida  morale e storica sulle classi subalterne. Pedro Sánchez le vuole rappresentare attraverso una liberal socialdmecrazia di stampo europeo, Pablo Iglesias con una messa in discussione delle oligarchie dominanti, e in questo ha l'appoggio di Izquirda Unida, che malgrado sia relegata nel gruppo misto ha ottenuto circa un milione di voti. 

Ci sono elementi di geometria e di fisica nell'impostazione dei due giovani leader che si propongono al parlamento con un patto che prevede alcuni punti essenziali, come il risparmio sulla spesa pubblica, la lotta alla corruzione e la difesa dei diritti. Albert Rivera e Pedro Sánchez si sono collocati al centro dello scenario politico, e ambiscono ad attrarre gli estremi in virtù di una forza centrifuga che si basa sulla necessità di dialogo, vista la frammentazione che è risultata dalle ultime elezioni, ma che non ha ancora prevalso sulle spinte di chi vuole contrastarli dagli estremi.



Il momento più teso del dibattito di martedì scorso, quando Pablo Iglesias ha accusato l'ex presidente socialista, Felipe Gonsàalez, di avere un passato macchiato di sangue, e i parlamentari socialisti hanno risposto chiedendone l'allontanamento dall'aula.